Les Cahiers de Science & Vie N. 95

Editore: Mondadori France

Far nascere in Egitto il fondatore della religione e della nazione d'Israele, farlo crescere nello stesso entourage del Faraone, e infine fargli assumere la guida della rivolta che condurrà gli Ebrei all'Esodo, questa è una storia che fa dell'Egitto un luogo prescelto all'interno del maggiore episodio dell'epopea biblica: la storia di Mosè.

Eppure quando si cerca, a partire dai fatti archeologici, la traccia degli Ebrei nel paese dei Faraoni, si resta perplessi. Nonostante la dimensione mitica dell'eroe, in ambito strettamente storico si constata che non ci sono vestigia archeologiche che possano testimoniare una credibile presenza ebraica in Egitto in epoca faraonica. Tutt'al più si può ridurre a interpretare qualche traccia associata a dei popoli "asiatici", secondo gli appellativi che gli Egizi applicano indistintamente a tutti i loro vicini orientali.

Il solo riferimento a Israele figura sulla stele detta di Merenptah (dal nome di un faraone della fine della XIX dinastia, successore di Ramses II) per segnalarne la sua stessa distruzione. D'altro canto più tardi, e specialmente sotto i Tolomei, di origne macedone, sarà attestata la presenza permanente di una importante comunica giudaica in Egitto.

Quindi cosa cercavano di dirci gli scrittori della Bibbia con il nome di Mosè, egiziano suo malgrado? Senza dubbio questo: che trionfando sul potente dominatore del mondo con l'aiuto di Yahweh, nessuno, d'ora in poi, è più in grado di rivaleggiare con il popolo scelto.